Recensione "La mondina" di Silvia Montemurro: quando la maternità diventa potere (e prigione)
LA MONDINA
Silvia Montemurro
Edizioni e/o
265 pagine
8 ottobre 2025
Nella Torino di inizio secolo, Lena non ha voce. Nessuno vuole ascoltare quello che la giovane mondina potrebbe rivelare sulla famiglia da cui è stata “accolta”. Nessuno ha interesse che i più indicibili segreti delle brave persone della borghesia cittadina vengano messi in piazza.
L’infanzia tradita e l’adolescenza, il privilegio e il sopruso, il silenzio e il bisogno di giustizia. Infine il desiderio, la maternità, e la ferma volontà di prendere in mano la propria vita. C’è tutto questo nel nuovo romanzo di Silvia Montemurro, che ancora una volta ci racconta senza sconti l’Italia da cui veniamo.
1913, Lena è una mondina di quindici anni, orfana di madre e padre, che lavora in una risaia vicino al rione Cappuccini a Vercelli. Lena è isolata da tutti. La sua migliore amica Maria è appena morta e lei continua a darsi la colpa per quello che è successo. Anche il ragazzo di cui è invaghita, Tobia, non si dimostra poi così tenace nel corteggiarla, tanto che alla festa di fine mondatura attende invano qualcuno che la faccia ballare. Le si avvicina invece Grazia, la moglie del padrone, che la invita a passare un periodo da loro a Torino. Suo malgrado Lena accetta l’invito, ma non tarda a capire di essere bloccata in quella casa, dove il suo incubo ha inizio. Il marito di Grazia, Fernando, inizia presto a farle visita di notte, e dopo poco rimane incinta. Nella casa capiscono tutti, anche Grazia. È proprio di Grazia la voce che fa da controcanto a Lena che, con un marito fedifrago e un matrimonio infelice, impossibilitata ad avere figli, si culla nel sogno di un bambino. E se in un primo momento ha pensato di adottare Lena, presto inizia a covare l’idea che possa diventare lei la madre del suo bambino. Lena inizia a sospettare che una triste fine la attenderà dopo il parto. Ad aprirle gli occhi, la aiuteranno la domestica, Severa, e una sua amica, Teresa Ferrero, operaia presso la manifattura Tabacchi di Torino e anche sciantosa, in arte Isa Bluette, la famosa soubrette.
Ci sono libri che ti prendono per mano e ti sussurrano all’orecchio; altri che ti trascinano per i capelli nel fango delle emozioni. La mondina appartiene alla seconda categoria.
Silvia Montemurro ci riporta nella Torino di inizio secolo, tra le risaie vercellesi e i salotti borghesi, per raccontare una storia di silenzi, inganni e maternità.
Non è una lettura leggera - e meno male: è densa, dolorosa, necessaria. Di quelle che ti costringono a fermarti e a chiederti quante cose le donne, nel tempo, abbiano dovuto subire e ingoiare.
Io, che mi difendo con l’ironia, ho finito questo romanzo con il cuore pieno e le mani strette a quelle di Roby: perché La mondina non consola, ma accarezza con onestà.
Quando la mondina viene invitata nella “bella casa”: non è tutto oro ciò che luccica
Lena ha 15 anni, è orfana, lavora nelle risaie vicino al rione Cappuccini a Vercelli. La sua migliore amica è morta e lei si sente colpevole. Vive di fatica e di silenzi, finché non arriva un invito che sembra un sogno: la signora Grazia, moglie del padrone, la porta con sé a Torino per “aiutarla”.
Ma chi legge, lo capisce subito: non sarà un aiuto, bensì un incubo.
Lena scoprirà presto che dietro i sorrisi dei signori si nascondono fame, desiderio e potere. Quello di chi crede di poter compare tutto, anche la maternità.
Fango delle risaie, salotti borghesi e il prezzo della voce negata
Una delle cose che ho amato di più è come Montemurro intrecci due Italie: quella della fatica e quella del privilegio. Da un lato le donne curve sull’acqua, coperte di sudore e speranza; dall’altro i velluti e i bicchieri di cristallo di chi crede che la povertà sia un difetto di carattere.
La trama non è solo storia, è denuncia: ci parla di silenzi e di soprusi, ma anche del coraggio femminile di non arrendersi.
Il ritmo è perfettamente calibrato, con momenti di tensione che ti fanno trattenere il respiro e pause di dolcezza che arrivano come il profumo di pane dopo la pioggia.
E nel centro, il tema che più mi ha colpita: la maternità come ossessione, come bisogno disperato di colmare un vuoto che non si sa nominare.
Lena e Grazia: due donne, un desiderio - e il potere che si nasconde dietro la maternità
Lena è la voce del dolore e della resistenza. È una ragazza che non ha nulla, ma che cerca comunque di restare intera.
Grazia, invece, è il volto dell’egoismo traverstito da bisogno. È la borghese che ha sempre avuto tutto: abiti, agio, rispetto. Tutto tranne un figlio.
E quando la vita le nega quella maternità, lei non si ferma davanti a nulla. Non si chiede se sia giusto, se sia umano: lo vuole, e basta.
È qui che Montemurro costruisce il suo contrasto più forte. Lena che subisce il potere; Grazia, che lo esercita. Una che cerca libertà, l’altra che la toglie.
Due donne lontane, ma legate dallo stesso filo invisibile: il bisogno di essere viste, amate, riconosciute.
Lo stile della Montemurro: sobrio, tagliente e capace di sussurrare verità
Silvia Montemurro scrive come si scava: con pazienza e rispetto.
Non ci sono giri di parole inutili né romanticismi zuccherosi. La sua lingua è concreta, piena di sensazioni.
Le descrizioni delle risaie ti bagnano i piedi, l’odore del fango e del lavoro entra nei polmoni. I dialoghi sono misurati, ma ogni pausa dice più di cento frasi.
La scelta di alternare le voci di Lena e Grazia funziona benissimo: ci fa entrare nella testa di entrambe, obbligandoci a guardare il mondo da prospettive opposte.
E sì, qualche scena avrei voluto viverla più a lungo, ma nel complesso la scrittura ha un equilibro perfetto tra emozione e controllo.
Maternità a tutti i costi: chi dà voce alle donne, chi vorrebbe solo possederla
Qui arriviamo al cuore del romanzo e del mio turbamento.
Quanta parte della nostra identità viene ancora oggi legata al diventare madri?
Ne La mondina, la maternità è un terreno di battaglia. Per Lena significa subire, tacere, difendersi. Per Grazia significa conquistare, possedere, dominare.
Montemurro ci mette davanti al lato oscuro del desiderio. Quando l’amore diventa ossessione, quando il sogno di un figlio diventa una gabbia, quando il privilegio rende ciechi.
Grazia è l’incarnazione dell’egoismo di chi non ha mai dovuto rinunciare a niente. Non conosce il limite, non capisce la misura. Crede che, per il solo fatto di volere un figlio, le spetti.
E in questo suo bisogno cieco, travolge chiunque la circondi.
Lena invece ci mostra la forza di chi non ha nulla da perdere, ma trova dentro di sé il coraggio di reagire.
Leggendo, ho pensato spesso a quante donne - ieri, oggi, sempre - siano costrette a scegliere tra sopravvivere o sparire in silenzio.
Perché 5 stelle? Perché questo libro mi ha fatto arrabbiare, sperare e pensare - tutto con una tazza in mano
Quando un libro mi fa provare così tante emozioni diverse, non posso che premiarlo.
Mi ha fatta arrabbiare con Grazia, mi ha fatto stringere i pugni per Lena, mi ha ricordato quanto la libertà femminile sia ancora, troppo spesso, condizionata dal desiderio degli altri.
Non è un romanzo “facile”, ma è uno di quelli che rimangono addosso.
Silvia Montemurro ha scritto una storia di donne vere: imperfette, ferite, coraggiose.
E per me, che nei libri cerco umanità e verità più che lieto fine, La mondina è un piccolo capolavoro.
Cinque stelle piene, senza esitazione.
Adesso scusatemi: il mio cappuccino si sta freddando, Roby piange disperato e Vani mi guarda come se volesse sapere anche lei com’è finita la storia.




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