Recensione 'Tanta ancora vita' di Viola Ardone: quando la voce dell'autrice rovina anche la speranza


TANTA ANCORA VITA
Viola Ardone
Einaudi
336 pagine
23 settembre 2025


«Questo fanno i bambini alle persone. Le sincronizzano sul tempo dell’amore». Una mattina Vita apre la porta di casa e trova, accoccolato sull’uscio, Kostya. Lui, che neppure parla la sua lingua, le cambierà l’esistenza. Perché ogni figlio nato sulla terra è il figlio di tutte, di tutti. Nei romanzi di Viola Ardone l’incontro fra esseri umani ha sempre la potenza di un miracolo, capace di scardinare la solitudine, di ricomporre la speranza. Kostya ha dieci anni quando si mette in viaggio per arrivare dalla nonna Irina, domestica a Napoli. Nello zaino, la foto di una madre mai conosciuta e un indirizzo. Suo padre è al fronte per difendere l’Ucraina appena invasa. Tra soldati che cercano di bloccarlo al confine e sconosciute che gli dànno una mano, il bambino riesce ad arrivare. Vita, la signora per cui la nonna lavora, lo scopre addormentato sullo zerbino. Quattro anni fa lei ha perso suo figlio e ora passa le giornate da sola, o con Irina, che ha letto Dante e parla italiano come un poeta del Duecento. Il piccolo ospite inatteso la costringe di nuovo in quel ruolo che il destino le ha tolto. Poi, quando il padre di Kostya è dato per disperso, Irina torna nel suo Paese a cercarlo. D’impulso, Vita decide di raggiungerla, per aiutarla. Tentare di salvare un altro, del resto, è l’unico modo per salvare noi stessi.


“Tanta ancora vita”, o come farci rimpiangere il silenzio 

Sospirone numero uno: "Amore, ma perché lo abbiamo fatto?"
La risposta, purtroppo, è sempre la stessa: perché siamo ottimisti. Perché crediamo che, prima o poi, anche Viola Ardone scriverà un romanzo che ci conquisterà come fece - e solo quello, sia chiaro - Oliva Denaro. E invece no. Anche questa volta, la delusione è arrivata puntuale come la bolletta del gas. 

E dire che la storia aveva tutte le carte in regola per emozionare: un bambino ucraino in fuga, una donna sola, la guerra, la speranza, l’amore, il lutto… insomma, il classico pacchetto “piangi che ti fa bene”. Peccato che, invece di commuoverci, ci siamo trovati a chiede ad Alexa quanto mancasse alla fine del capitolo. Risposta: troppo. 

Audible, o la tortura dell’ascolto condiviso 

L’esperienza, diciamolo subito, è stata rovinata a monte. 
Perché ascoltare un libro letto (in parte) dalla stessa autrice può sembrare una scelta romantica, ma si rivela spesso un attentato alle orecchie. E Viola Ardone, mi dispiace dirlo, legge come una bambina scema di seconda elementare (scusate l’unpolitically correct, ma quando ci vuole, ci vuole) che ha vinto il concorso “Leggi anche tu la tua favola preferita”. 

La voce infantile, l’intonazione sbagliata, la dizione sospesa tra “nonna che recita il rosario” e “bimba che interpreta la pecorella numero tre nel presepe vivente” hanno trasformato la narrazione in un supplizio. A un certo punto, Patato ha pure guaito. 
Letteralmente. Non per compassione verso Kostya, il piccolo protagonista, ma per chiedere pietà nei confronti delle nostre orecchie. 

Abbiamo resistito solo perché il libro non potevamo fisicamente lanciarlo contro il muro. Se avessimo avuto il cartaceo, sarebbe finito nel cestino del riciclo dopo pagina 40. 

Trama: la speranza che non decolla

La storia, in teoria, parla di Vita - una donna che ha perso il figlio e vive nel suo dolore, finché un bambino ucraino, Kostya, non le piomba davanti alla porta di casa come un pacco Amazon di quelli che non hai ordinato ma ti tocca ritirare lo stesso. 

Kostya, dieci anni e uno zaino più grande di lui, è in viaggio per raggiungere la nonna Irina, domestica di Vita, una donna splendida che ha imparato l’italiano leggendo Dante (e che quindi parla come se stesse recitando la Divina Commedia anche solo per chiedere un bicchiere d’acqua). 
Fin qui, tutto bene. O quasi 

Il problema è che tutto quello che dovrebbe emozionare, non emoziona
Ogni scena che dovrebbe stringere il cuore sembra invece una puntata di Un posto al sole recitata sott’acqua. Vita è di una pesantezza cosmica e Kostya… beh, diciamolo: Ardone non riesce proprio a scrivere bambini che risultino autentici o adorabili. Li trasforma in piccoli adulti o caricature e Kostya non fa eccezione. Ogni sua frase è un misto tra il manuale di sopravvivenza e una seduta di terapia collettiva. 

Irina: l’unica sopravvissuta (letterariamente parlando) 

Se c’è un personaggio che si salva - e salva noi dal totale abbandono - è Irina. La domestica-poetessa, che parla come un verso di Dante e si muove come una Madonna russa con il mocio in mano. È lei l’unica con una vera voce, un’anima, un senso. È la colonna portante di una storia che, senza la sua presenza, crollerebbe come una millefoglie lasciata al sole. 

Irina è la voce della saggezza, della pazienza, della dignità. Ma soprattutto, è l’unica che non fa venire voglia di schiacciare “stop” su Audible. 
Ogni volta che parlava lei, Patato smetteva di sospirare. Ogni volta che tornava Vita, lui si accasciava di nuovo sul divano. Un segnale, direi, inequivocabile. 

La scrittura: tra il lirismo e l’indigestione

Viola Ardone scrive bene, inutile negarlo. Ha una penna elegante, ricercata, con quella musicalità che in certi passaggi accarezza. Il problema è che accarezza troppo a lungo
Ti tiene lì, ti sfiora, ti blandisce, e dopo un po’ vuoi solo che la smetta. 
È come essere abbracciati da qualcuno che non ti molla anche quando gli dici “ok, basta, ho capito”. 

Ogni frase è carica di simbolismi, metafore, e quella costante ricerca di profondità che finisce per affogare la storia nella melassa. 
E poi, parliamoci chiaro: se il tuo romanzo ha per protagonisti una donna traumatizzata e un bambino ucraino in fuga, non serve aggiungere strati di retorica per farci capire la vita è dura e l’amore salva. Lo sappiamo già. 

Vita, Kostya e la noia cosmica

Kostya doveva essere il cuore del romanzo. Invece, è un bambino che non buca mai la pagina - o, nel nostro caso, le cuffie. 
Non emoziona, non diverte, non sorprende. Sembra un personaggio costruito più per suscitare tenerezza che per essere reale. 
E Vita… oh, Vita! Una protagonista che fa rimpiangere le giornate in coda alla posta. È cupa, lamentosa, e se fosse una persona vera, probabilmente ti parlerebbe del suo dolore anche mentre le stai solo chiedendo dove ha comprato il pane. 

Confessione da lettrice stanca

Io volevo emozionarmi.
Io volevo essere spostata.
Io volevo quella botta allo stomaco che poi ti fa tenerezza.
Invece mi sono vista lì, con le cuffie, a pensare: "Ma davvero questo doveva essere il libro che mi strappa il cuore?".

E quando una lettrice forte si accorge che sta ascoltando più per dovere che per fame, qualcosa si rompe.

Livelli di sopravvivenza emotiva

→ Livello lacrimale: 3/10
Qualche scena prova a farti piangere. 
Tu capisci che dovresti.
Ma il nodo non arriva mai davvero in gola.

→ Livello comfort: 4/10
Non è uno di quei libri che ti abbracciano.
Ti offre una sedia. Ma non un divano.

Il problema vero, quello che resta

Il problema di Tanta ancora vita non è che sia brutto. È che è innocuo.
E un libro che nasce per colpire e invece si limita ad accarezzare... è un libro che si dimentica in fretta.

C'è tanta intenzione, sì. 
Ma la letteratura non vive di buone intenzioni. Vive di rischi. Di scarti. Di ferite vere.

Riflessioni finali (ovvero: perché due stelle e non una?)

Due stelle. Una per Irina e una per la buona volontà. 
Perché noi, nonostante tutto, ci abbiamo provato. Abbiamo ascoltato, pazientato, sopportato. Abbiamo creduto, sino all’ultimo, che un colpo di scena ci avrebbe riscattato. Ma niente: la salvezza non è arrivata. 

Abbiamo chiuso Audible con la sensazione di aver attraversato una lunga, interinale seduta di gruppo sul senso della perdita, senza neanche il conforto dei biscotti. 
E no, non è colpa della guerra, del dolore o della maternità negata. È colpa di una scrittura che si prende troppo sul serio, di personaggi che non vivono, ma recitano, e di una lettura ad alta voce che grida vendetta alle orecchie di chiunque abbia più di otto anni. 

Conclusione (e un consiglio non richiesto)

Cari autori e care autrici, ve lo diciamo con affetto: non leggete i vostri libri se non siete attori.
E cari lettori, se vi sentite pronti a un viaggio emotivo profondo, cercate un romanzo che vi tocchi il cuore, non le corde vocali.

Noi, per parte nostra, siamo felici che Tanta ancora vita sia finito. E ora andiamo a prepararci una cioccolata calda: perché, dopo questa esperienza, abbiamo bisogno di tanta ancora pazienza.





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