Bookblogger vs Bookstagrammer: parole storte, foto perfette



Io, un libro e una foto venuta male: buongiorno, realtà

Stamattina ho fotografato un libro. Anzi, no: ho tentato di fotografare un libro.
Risultato? Una copertina storta, luce pessima, tazza mezza vuota e riflesso della mia faccia stanca sullo schermo. Nel frattempo, su Instagram, qualcuno aveva già pubblicato l'ennesimo flat lay perfetto: libro centrato al millimetro, caffè fumante, fiore secco strategico, luce naturale che neanche Capri a mezzogiorno.

Preset contro pensieri: quando l'estetica prende a schiaffi la sostanza

Il mondo dei libri oggi è questo: da una parte chi racconta, dall'altra chi mostra.
I Bookstagrammer costruiscono estetiche, i Bookblogger costruiscono pensieri. Loro lavorano di palette, noi di paragrafi. Loro regolano i preset, noi i filtri mentali.

Non è una guerra, teoricamente. È una convivenza forzata. Ma ogni tanto sembra una sfida silenziosa: chi deve essere più perfetto? Il contenuto o la confezione?
Perché sì, la foto è pulita, elegante, armonica. Ma poi leggi la caption e scopri che il libro è "intenso, travolgente, emotivo". Tutti e nessuno.
Io invece ti scrivo un papiro di 3000 parole per spiegarti perché quel romanzo mi ha fatto male in un punto preciso dell'anima. Però lo faccio con la felpa macchiata di caffè e zero senso estetico.

Sì, li invidio: confessioni scomode di una bookblogger stanca

La verità? Io li invidio, i Bookstagrammer.
Invidio quella calma visiva, quella capacità di sistemare il caos in una foto quadrata. Io, al massimo, sistemo il caos in una frase. E male!

Mentre loro studiano luci, io accumulo stanchezza. Mentre loro scelgono lo sfondo giusto, io scelgo se tagliare una riflessione che mi ha tolto il sonno.
E ogni tanto mi chiedo se il mio modo di raccontare sia diventato troppo storto per un mondo che chiede solo cose belle da guardare.

Poi mi ricordo che non riesco a essere leggera quando una storia mi pesa addosso. E pace ai preset.

Spoiler: la foto non salva i libri vuoti

E allora lo dico chiaramente, senza filtri fotografici né morali: la bellezza non sostituisce la profondità. La accompagna, semmai. Ma non la rimpiazza.

Una foto perfetta non salva una recensione vuota, un'estetica curata non compensa una lettura fatta di corsa. Così come una recensione sgangherata, scritta col cuore in disordine, può valere più di mille composizioni impeccabili.
Non è una questione di formato, è una questione di onestà emotiva.

Io non voglio convincerti che un libro è meraviglioso perché è bello accanto a una candela, voglio dirti se ti spazzerà via o se lo dimenticherai il giorno dopo.

La fitta che non si fotografa

Alla fine, loro hanno foto perfette. Io ho le occhiaie perfette. Loro hanno griglie ordinate. Io ho pensieri messi in fila male.

Ma quando chiudo un libro e sento quella fitta precisa - quella che non si fotografa - so che sto facendo ancora la cosa giusta. Anche se non è instagrammabile.
La foto sarà pure perfetta. La TBR un disastro. Ma almeno le storie, quelle, continuano a scombinarmi dentro. E io, sinceramente, non voglio smettere.

Adesso tocca a te: sei più da flat lay perfetto o da pensieri storti alle due di notte? Ti senti più Bookstagrammer, Bookblogger... o un disastro ibrido come me?

Commenti