IL DESTINO DI MARY ROSE
Caroline Blackwood
Gramma Feltrinelli
285 pagine
30 settembre 2025
Rowan è uno storico londinese che ama starsene nel suo accogliente appartamento, svegliarsi con comodo, farsi un caffè e mettersi subito al lavoro. La vita, insomma, priva di seccature di un uomo preso innanzi tutto dai suoi studi. Di tanto in tanto riceve la visita di Gloria, un’indossatrice con cui ha una relazione. Gloria è bella, linguacciuta e piena di energia. Nutre, però, l’illusione, nefasta per lui, che il matrimonio possa dare uno scopo alla sua vita. Per riparare con un mazzo di rose a un violento litigio con Gloria, Rowan entra un giorno in un negozio di fiori di Notting Hill. Viene accolto da una ragazza, Cressida, di una bellezza incredibile, dai capelli accesi dal sole come quelli di una principessa delle favole e un viso così etereo e vulnerabile da suscitare un fascino arcano. Quasi inavvertitamente, Rowan comincia a flirtare con lei e la sera ci finisce a letto. Il maldestro rapporto che ne segue sembrerebbe porre subito fine alla storia, salvo che, trascorso qualche mese, Cressida annuncia di essere incinta. Una circostanza molesta, che Rowan decide di risolvere sposando la ragazza e allontanandola da sé in un cottage a Beckham, un lindo villaggio addormentato nel Kent. Lì Cressida si dedica interamente a Mary Rose, la piccola di salute cagionevole nata dal fugace incontro. Nei ritagli di tempo, mentre continua la sua relazione con Gloria, Rowan la va a trovare. Benché emotivamente sterile e soffocante, il rapporto con Cressida sembra aver trovato un equilibrio accettabile. Le cose precipitano, però, quando una bambina, Maureen Sutton, scompare nell’agglomerato di case popolari che confinano con Beckham. Terrorizzata per la sicurezza di Mary Rose, Cressida si comporta in una maniera sempre più inquietante, mentre gli orrori nascosti sotto i merletti e le tovaglie di una casa in apparenza perfetta affiorano inesorabilmente.
Ci sono libri che ti accarezzano, ti parlano piano e ti lasciano la sensazione di una coperta sulle spalle.
E poi ci sono quelli che ti strattonano per i capelli e ti sussurrano all'orecchio: "Cara, la vita è un disastro, ma almeno scriviamolo bene."
Il destino di Mary Rose appartiene senza dubbio alla seconda categoria.
Caroline Blackwood non scrive per intrattenere. Scrive per far alzare un sopracciglio, per infilare dentro alla mente del lettore una donna che non chiede pietà, ma solo di essere vista - e già questa, per una come Mary Rose, è un'impresa titanica.
Mary è fragile, elegante, bellissima nel modo scomodo in cui lo sono le persone che non riescono a stare al mondo.
La troviamo rinchiusa in un ospedale psichiatrico, circondata da persone che la studiano come si studia un insetto raro: con curiosità, con un po' di paura e con quell'infantile convinzione di poter trovare una risposta razionale al dolore.
Spoiler: non ce n'è una.
Blackwood costruisce un romanzo che è, più che una storia, una radiografia emotiva. C'è poco movimento e tantissimo sguardo: il punto di vista si sposta, si insinua, si sporca.
Ogni personaggio che ruota attorno a Mary Rose racconta la propria versione dei fatti, come in un interrogatorio collettivo dove la verità resta sempre sullo sfondo, sfocata, inaccessibile.
E così, piano piano, ci rendiamo conto che forse Mary Rose non è la "malata" della situazione, ma semplicemente quella che ha smesso di fingere che vada tutto bene. (Una cosa che, tra parentesi, consiglio a tutti almeno una volta nella vita - purché con un bicchiere di vino a portata di mano... a meno che non siate astemi come me!).
La scrittura di Caroline Blackwood è un piccolo miracolo di precisione emotiva. Non fa rumore, ma ti scava sotto pelle.
Ha la grazia di una frase detta sottovoce la violenza di un pensiero che non volevi ammettere. Ogni parola è calibrata, tagliente, come se l'autrice fosse lì, penna in mano, a togliere tutto ciò che è superfluo fino a lasciare solo la nuda verità - quella che nessuno vuole vedere.
È una prosa che non consola, non spiega, non chiude le ferite. Le illumina. E tu resti lì, con gli occhi spalancati, a chiederti come sia possibile che qualcuno riesca a raccontare così bene il dolore di chi non riesce più a raccontarsi.
Leggere Il destino di Mary Rose non è un'esperienza confortevole. È una di quelle letture che ti spiazzano, ti costringono a fare i conti con l'idea che la follia non sia sempre un errore, ma a volte una difesa.
Ti ritrovi a pensare che forse il vero problema non è Mary Rose, ma il mondo che la circonda: un mondo che misura la normalità con il righello dell'ipocrisia.
E allora sì, ti viene da ridere - ma quella risata storta, amara, che esce quando capisci che stai ridendo di te stessa.
A fine lettura, chiudi il libro e resti in silenzio. Non perché tu non abbia capito, ma perché lui ha capito te.
Ti rimane addosso quella sensazione sottile e persistente di chi sa di aver guardato troppo a fondo: un po' come quando apri un cassetto e trovi qualcosa che avevi nascosto proprio a te stessa.
Eppure, nonostante la malinconia, nonostante l'amaro in bocca, nonostante la tentazione di fare una chiamata urgente alla terapeuta, questo libro ti resta addosso come un profumo sottile.
Ti accompagna nei giorni dopo, nelle frasi che ti tornano in mente all'improvviso, nelle piccole crepe quotidiane che ti fanno pensare: "forse anche io ho un po' di Mary Rose dentro".
Perché alla fine Il destino di Mary Rose parla di tutte le volte in cui ti sei sentita invisibile, fraintesa, fragile eppure ancora viva.
E lo fa senza pietà, ma con una strana forma di tenerezza, quella che arriva solo da chi sa che la vita è una commedia, ma la recita è sempre un po' sbagliata.
Quattro "ballerine" e non cinque - non per cattiveria, ma per onestà. Perché sì, è un romanzo magnifico, ma anche spietato. E io un po' di tregua me la meritavo!
Ma resta un libro che ti prende, ti scuote e, se sei fortunato, ti lascia più lucido di prima. Un po' come una conversazione sincera con te stessa davanti allo specchio.
E va bene così: certe ferite, se sono scritte bene, non vanno curate. Si tengono.
Con un filo di ironia, un po' di malinconia e una buona scusa per restare a casa a leggere!
Ringrazio la Casa Editrice per la copia del romanzo
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