LASCIAMI ANDARE, MADRE || Helga Schneider || Adelphi || 28 gennaio 2004 || 130 pagine
"Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli". In una stanza d'albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1943 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere quella che considerava la sua missione: essere a tempo pieno una SS e lavorare nei campi di concentramento del FĆ¼hrer.
Dopotutto, ĆØ sempre sua madre
GiĆ , sua madre. Quante volte questa frase viene rivolta a una figlia che da quella madre si ĆØ allontanata?
"Devi perdonarla... devi parlarle... devi aiutarla, abbracciarla... dopotutto, ĆØ pur sempre tua madre".
No, l'amore non ĆØ un regalo, non ĆØ un obbligo. Ti amo perchĆ© sei stata una madre meritevole del mio rispetto e del mio affetto. Ti amo perchĆ© eri lƬ quando avevo bisogno di te, quando ero a pezzi, sola, quando non vedevo via d'uscita. E tu c'eri, per questo ti amo, mamma.
Helga, invece, queste parole non puĆ² pronunciarle e questo amore non sa neanche cosa sia, perchĆ© sua madre l'ha abbandonata quando lei era molto piccola e lo ha fatto per il peggiore dei motivi possibili: arruolarsi come guardiana dei campi di concentramento del FĆ¼hrer. Sua madre era una di quelle donne in divisa che mandavano a morire milioni di ebrei.
Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli.
Helga, dopo quell'addio, ha rivisto la madre solo un'altra volta, trent'anni dopo l'ultimo freddo saluto. Trent'anni, una guerra finita, gli orrori del Nazismo ormai noti a tutti, un processo che condannĆ² quella donna a pagare per le sue colpe, eppure quella madre era sempre uguale a sĆ© stessa: rigida, fredda, nazista.
Bugiarda, opportunista, fanatica, infida: cosƬ la descrive il suo dossier.
E oggi di anni ne sono trascorsi altri venti. Helga ha ricevuto una lettera: la madre non ĆØ quasi piĆ¹ in sĆ©, spesso perde la luciditĆ mentale, ĆØ stata ricoverata presso una struttura perchĆ© rischiava di diventare un pericolo per sĆ© e per gli altri. "Magari vuole incontrarla prima che sia troppo tardi. Dopo tutto, ĆØ pur sempre sua madre".
Ma ĆØ davvero tua madre, Helga? Dov'era quando stavi male? Quando le bombe cadevano in strada e tu cercavi di consolare il tuo fratellino? Quando pativate la fame e il freddo? Quando la tua matrigna ti ha rinchiusa in un collegio, quando sei diventata madre anche tu? Dov'era questa donna che adesso pretende di farsi chiamare Madre?
In un lungo racconto che toglie il fiato, assisteremo all'incontro tra una madre e una figlia che tali non sono mai state. Due donne, ormai entrambe anziane, che si guardano negli occhi e cercano risposte a domande silenziose.
Quello di cui saremo inconsapevoli spettatori, sarĆ un dialogo doloroso, forte, un ricatto continuo fatto di dare e avere, dal quale usciremo a pezzi.
Un dialogo che metterĆ tutto in secondo piano: persone, luoghi, circostanze, tutto sparirĆ per lasciar posto a questo confronto finale e definitivo.
Dimmi, madre, perchƩ madre non sei stata?
Dimmi, figlia, perchƩ non riesci a capire?
Queste sembrano essere le due fondamentali domande dalle quali tutto prende vita.
Ognuna di loro arroccata nel proprio dolore, queste due donne cercheranno un cenno di affetto atavico ormai impossibile da trovare.
Helga arriverĆ al cospetto di questa madre perduta, preda di un guazzabuglio emotivo: chi si troverĆ davanti? Una donna pentita? Una donna che le chiederĆ perdono per il male fatto a lei e a un intero popolo? O sarĆ sempre lei, quella donna rigida e cattiva di quando era bambina?
Ad attenderla, un essere rimpicciolito, smunto, nei cui occhi azzurri, ormai quasi trasparenti, permane quella convinzione di correttezza.
E mentre Helga si lancerĆ in un fuoco di fila di domande, bramosa di sapere, di capire, speranzosa, forse, di cogliere un cedimento nei racconti della madre, un crollo, qualcosa che assomigli a una parvenza di pentimento, questa madre le mostrerĆ che no, lei non si ĆØ mai pentita.
Non ĆØ un romanzo "crudo" questo, anche se non mancano stralci che ci riporteranno nei lager di Birkenau e lo faranno attraverso la voce gelida della madre di Helga.
La durezza di questa storia ĆØ racchiusa nel cuore freddo di questa donna incapace di donare affetto, una donna che ha goduto del suo ruolo nei campi, del male che ha fatto e non perchĆ© questo le sia stato "imposto" dal regime, ma perchĆ© lei era davvero felice di ciĆ² che stava facendo.
E ancora oggi, davanti a una figlia disposta a perdonarla, lei alza lo sguardo, raddrizza la schiena e sorride: "Sono stata una guardiana, ho mandato a morire migliaia di persone, sono orgogliosa di averlo fatto", questo si nasconde dietro quello sguardo, questo percepisce Helga, che si volta e va via.
Ć come se si lacerasse un velo. Ora la nostra storia ĆØ tutta qui. La storia mancata di una madre e di una figlia. Una storia non storia. Lasciami andare, madre.
Un'analisi approfondita e dolorosa di quello che ĆØ un rapporto madre-figlia mai creato, che porta a riflettere su quanto davvero il sentimento che dovrebbe legare una donna a colei che la ha messa al mondo, non sia cosƬ naturale e scontato.
Ogni rapporto, incluso il piĆ¹ ancestrale, risente delle scelte e delle decisioni delle persone che lo vivono: Helga affronterĆ , in queste pagine e durante questo incontro, un dolore grande e irrisolvibile: si puĆ² davvero perdonare chi ha fatto tanto male agli altri? Si puĆ² dimenticare tutto solo perchĆ© quella persona ĆØ nostra madre?
Ma, soprattutto, si puĆ² perdonarle il non essere stata una madre?
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