Recensione 'Boom!'
di Marcello Dòmini - Marsilio


BOOM! || Marcello Dòmini || Marsilio || 13 giugno 2023 || 666 pagine

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Ricciotti Chiusoli ha fatto la guerra e ne è uscito vivo. Suo fratello Candido è morto mentre collaborava con la Resistenza, i suoi zii hanno dovuto espatriare perché ebrei, il suo migliore amico, il padre che non ha avuto, era il podestà fascista di Bologna, Leandro Arpinati, ed è stato giustiziato. Ma la vita si sconta vivendo e Ricciotti, per il quale la gioia è il sentimento della realtà, venduta l’azienda agricola di famiglia allo zio ebreo rientrato in patria, decide di seguire una vecchia passione per i motori e apre la prima rivendita di Alfa Romeo in Emilia-Romagna. L’uomo è capace, allegro, ha i contatti, e a casa è felice: ha una moglie, tre figli, e il cibo non manca. Così, nei primi anni Cinquanta, la concessionaria Chiusoli diventa il centro di un mondo – il nostro – in piena espansione economica. Quando la borghesia comincia a strutturarsi aumentano il consumo di carta, perché i figli vengono mandati a studiare, il consumo di carne rossa – che in Emilia-Romagna non ha mai fatto difetto – e i costi per le infrastrutture. La modernità e la velocità portano a case comode e palazzi, portano a ferrovie e strade. E dopo aver fatto le strade, ci vogliono le macchine per percorrerle. Magari una per ogni famiglia. In questo romanzo, Marcello Dòmini narra le avventure della famiglia Chiusoli attraverso il Boom che dà il titolo al romanzo, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, mettendo in risalto l’avventura e le contraddizioni che risiedono in ciascun uomo e in ciascuna famiglia: il fascismo mai processato, l’industria mai diventata davvero cultura, la volontà di costruire un mondo nuovo accompagnata alla nostalgia di quello vecchio.


Questo era un romanzo al quale tenevo tanto, uno di quelli che non vedevo l'ora di leggere e nel quale riponevo grandi aspettative, quasi certa che tra le sue pagine avrei potuto trascorrere ore emozionanti, esattamente come era accaduto col volume precedente, Di guerra e di noi.

Sono trascorsi nove anni da quando Ricciotti Chiusoli ha assistito alla morte di una delle persone a lui più care.
È il 1954 e Ciotti e la sua famiglia vivono in quel di Bologna. La guerra è finita da un pezzo e l'Italia sta affrontando quella ricostruzione e quella rinascita che ogni Paese ha dovuto portare avanti dopo anni di distruzione.
Siamo a metà degli anni Cinquanta e quello che viene ricordato come il boom economico sta per travolgere la nostra penisola.

Ciotti ha venduto l'azienda agricola di cui era proprietario e si è trasferito a Bologna con la moglie Pina e i tre figli, Donata, Stefania e Candido.
Da un anno cerca qualcosa da fare, lui che, sin da bambino, non è mai stato con le mani in mano; e l'occasione gli arriva proprio da quel benessere crescente che sta travolgendo il Paese.
Sarà nel settore automobilistico che Ciotti deciderà di investire il suo impegno e il suo denaro, diventando il primo rivenditore di Alfa Romeo per il centro Italia.

Anche questa volta seguiremo la famiglia Chiusoli per poco più di vent'anni, durante i quali vedremo Ciotti invecchiare i suoi tre figli diventare adulti e affrontare dolori e delusioni.
Sarà su Candido, in particolare, che si concentrerà l'ultima parte del romanzo. Differente dal padre in quanto a carattere, il ragazzo dovrà affrontare non pochi dolori nella sua ancora breve vita.
Cresciuto da Ciotti e Pina in maniera ineccepibile, si troverà a dibattersi tra la sua educazione il suo modo di essere e una società in continua trasformazione, nella quale lui sembrerà un pesce fuor d'acqua.

Candido incarna alla perfezione quei figli del boom, ragazzi i cui padri nascevano contadini e avevano combattuto in guerra e che, una volta tornati, si sono ritrovati a vivere in uno stato di benessere economico, garantendo così alle loro famiglie quel benessere economico e quegli agi che loro non potevano neanche immaginare.
Candido è cresciuto in un grande appartamento, ha giocato a tennis nei migliori club, ha sempre avuto bei vestiti, un cuoco che preparava i pasti, un cameriere che li serviva in tavola e una donna di servizio che si occupava delle incombenze domestiche.
Camicia e cravatta sono il suo abbigliamento quotidiano, quasi una divisa che distingue lui, e quelli come lui, da quei capelloni in jeans che iniziano a popolare le strade di Bologna.

Questo romanzo, però, mi ha lasciato addosso un grande dispiacere. Ho faticato a leggerlo, trascinandomelo per giorni e giorni, tanto quanto velocemente, invece, avevo letto il primo libro.
Di guerra e di noi mi era parso, a tratti, un po' troppo descrittivo, ma, come avevo specificato nella recensione, a parte una favola raccontata da Ciotti che, nella parte finale, allungava un po' troppo il brodo, tutto il resto risultava perfettamente calibrato.
Stavolta, invece, Marcello Dòmini ha calcato un po' troppo la mano, affrontando ogni argomento trattato con intere pagine di spiegazioni.
Ci troviamo così a leggere capitoli sulla caccia alle anatre, sul calcio, le auto, la musica, la pittura, la nascita delle candid camera, le droghe, le lotte di classe, gli scioperi, le squadre speciale delle forze armate e tanto altro ancora.
Tutto ciò appare quasi come uno sfoggio di conoscenza da parte dell'autore, visto che nessuno degli approfondimenti trattati è necessario alla storia narrata; uno sfoggio, per altro, abbastanza basico, nozioni per le quali basta consultare Wikipedia per avere le informazioni necessarie!
Ovviamente, questa scelta va a discapito del romanzo, nel quale le vicende di Ciotti e dei suoi figli passano in secondo piano, rimangono marginali fin quasi a sparire del tutto.

Alla fine di questa lettura mi sono trovata ad affrontare un dilemma: lo consiglierei? Sicuramente, leggendo Di guerra e di noi rimane addosso la voglia di scoprire cosa ne sarà di Ciotti, ma è anche vero che, giunti alla fine di questa storia, benché la curiosità venga soddisfatta, ci si trova a pensare che è davvero un peccato che un romanzo bello come il primo venga in parte rovinato dal suo seguito.
Il pregio più grande del libro precedente è che tutti i fili narrativi vengono chiusi, pertanto la lettura di questo secondo volume non è strettamente necessaria.
Credo sia giusto che ognuno segua il proprio istinto e scelga se leggere o meno questa storia; se doveste decidere di farlo, preparatevi a non ritrovare la magia del primo volume.

La Libridinosa

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1 commento:

  1. Non conosco Marcello Dòmini e non avevo mai sentito nominare il libro Di guerra e di noi. Lo inserisco nella mia lista dei romanzi da leggere.
    Un saluto
    Fra

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