Recensione 'Pastorale americana' di Philip Roth - Einaudi

Seymour Levov è alto, biondo, atletico: al liceo lo chiamano «lo Svedese». Ebreo benestante e integrato, ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e di gioie familiari. 
Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam, esplose negli Stati Uniti, non coinvolgono anche lui, e nel modo piú devastante: attraverso l'adorata figlia Merry, decisa a «portare la guerra in casa». Letteralmente. Ma Pastorale americana non si esaurisce nell'allegoria politica; è un libro sulla vecchiaia, sulla memoria, sull'intollerabilità di certi ricordi. 
Lo scrittore Nathan Zuckerman, fin dall'adolescenza affascinato dalla vincente solarità dello Svedese, sente la necessità di narrarne la caduta. E ciò che racconta è il rovesciamento della pastorale americana: un grottesco Giudizio Universale in cui i Levov, e i lettori, assistono al crollo dell'utopia dei giusti, al trionfo della rabbia cieca e innata dell'America.

Autore: Philip Roth
Titolo originale: American Pastoral
Traduzione a cura di: Vincenzo Mantovani
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 1998
Pagine: 460

Trama: 2  Personaggi: 2  Stile: 1  Copertina: 1 



La pastorale americana è il momento in cui, soprattutto nel Giorno del Ringraziamento, rancori, ideologie, insofferenze vengono accantonate e taciute. Con la pastorale americana tutto tace.

Per quanto mi sia sforzata di vedere oltre a fluidità della scrittura e la ridondanza del racconto, non ce l'ho fatta.
Seymour Levov e la sua famiglia mi sono rimasti inesorabilmente antipatici e, per tutto il tempo della lettura, non ho fatto altro che desiderare che il libro cambiasse rotta, che mi raccontasse qualcosa d'altro che non l'instancabile e miope refrattarietà dello Svedese a tutto ciò che esulasse la regola per diventare un perfetto americano.
Ad un certo punto, dopo la terza descrizione sulla fabbricazione di un paio di guanti ho smesso anche di sperare e ho desiderato solo che il romanzo finisse!

Il lettore viene invitato a ricostruire la storia dello Svedese dovendo prendere i vari pezzi sparsi tra ricordi passati e momenti presenti, giungendo così alla fine ad avere un quadro purtroppo non del tutto chiaro.
Questo stile opulento mi ha portata spesso a trovare il romanzo poco interessante. La mia esperienza con questo romanzo  stata quasi come una melodia, a tratti monocorde e piuttosto piatta.

Roth, sin dalle prime pagine della storia, saltella da un'epoca all'altra senza dare al lettore alcun filo conduttore. Unico appiglio per rendersi conto degli anni che passano è l'età dei personaggi.
Le descrizioni sono talmente eccessive e rapportate a personaggi così insulsi che l'insieme non diventa altro che un impasto molle e appiccicoso, di quelli che ti rimangono attaccati alle dita e fai fatica a mandar via.

Insomma, tutti mi hanno decantato la lettura di Roth come immancabile. Personalmente, ne avevo fatto a meno sino ad oggi e non sento assolutamente, dopo questa lettura, l'esigenza di averci nuovamente a che fare!




6 comments:

  1. Nemmeno io sono venuta a capo di questo romanzo, che pure è considerato un capolavoro, lo stile dell'autore è davvero troppo ridondante per i miei gusti. Buona fine anno, Soavissima!

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    1. Ecco, ridondante è la parola perfetta per descrivere Roth! Buon 2017 anche a te!

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  2. Io pure ho qualche problema con Roth. Credo che lascerò passare ancora un po' di tempo prima di provare.
    baci da lea

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    1. Ma fai che lasci passare proprio il resto della tua vita, che tanto se ne fa tranquillamente a meno!

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  3. ihihihhi. Per me continuerà a rimanere mancabile

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