MORIRE È POCO || Enrico Mannucci || Neri Pozza || 24 marzo 2023 || 268 pagine
Fu per un ventennio una delle donne più potenti d’Europa, o per questo almeno passò, circonfusa da un’aura di leggenda che non l’abbandonò mai. Era la figlia del dittatore d’Italia: ne fu sempre consapevole anche se talvolta non a suo agio nel ruolo. Ma alla fine del 1943, Edda Ciano Mussolini era una donna disperata, in fuga, inseguita dai nazisti e aiutata da un passato amante che sarà tra i fondatori della moda Made in Italy. In quei giorni, il marito Galeazzo Ciano, uno dei delfini del regime fascista, stava per essere condannato a morte per aver votato, nella notte del Gran Consiglio, il 25 luglio 1943, contro il suocero Benito. Edda decise di fuggire, sotto falso nome, portando con sé i diari di Galeazzo. In Svizzera sarebbe rimasta per un anno e mezzo, dapprima isolata in un convento a Ingenbohl, poi – sempre sotto sorveglianza da parte delle autorità – in una casa di cura a Monthey, non senza imbarazzo del governo elvetico, che non sapeva bene come trattare questa ingombrante rifugiata. Lei, peraltro, non era tipo da rendere le cose facili; gli svizzeri non comprendevano i suoi sbalzi di umore, talvolta la inquadravano come una figura dissoluta; la sottoposero, infine, a numerosi esami clinici e psichiatrici. Il più importante fu quello del dottor Repond, il primario della clinica di Monthey, che compilò un approfondito rapporto dove descrisse, sotto una luce inedita, le dinamiche della famiglia Mussolini e inquadrò Edda come «una grande neuropatica». Dalla clinica, la Ciano riuscì a entrare in contatto con i servizi segreti americani, con Allen Dulles, colui che poi fonderà la Cia, e, dopo una lunga trattativa, gli cedette i Diari del marito, considerati dagli Alleati di valore strategico. Rientrata in Italia nell’agosto 1945, quattro mesi dopo la macabra esposizione del padre a piazzale Loreto, venne confinata a Lipari, l’isola dove erano stati reclusi tanti oppositori del regime. E dove, poco dopo il suo arrivo, la incontrò e intervistò Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli, antifascista militante che si trovò davanti la donna che non era più «la figlia del dittatore».
Affrontare la lettura di un saggio non è mai semplice. Ma pare che gli autori italiani profondano un certo impegno nel rendere ancora più difficile la fruizione di questi testi ai lettori "comuni".
Anche tra le pagine di questo libro, infatti, sono incappata in quello che ritengo sia l'errore più diffuso da parte di chi scrive saggi: dare per scontato che i lettori conoscano a menadito il "personaggio" che viene raccontato.
Nel caso specifico di Morire è poco, Mannucci ci racconta uno spaccato di vita di Edda Ciano, prima figlia di Benito Mussolini, nel periodo che va dalla sua fuga in Svizzera, avvenuta il 9 gennaio 1944, ai primi mesi trascorsi a Lipari, luogo nel quale fu esiliata al suo rientro in Italia, quattro mesi dopo la fine della guerra e la fucilazione del padre.
A trentatré anni, la figlia del duce è una donna stremata, cupa, quasi isterica, attraversa una delle fasi di pessimismo e autocommiserazione, per lei, ormai, frequenti quanto prima erano state quelle di esaltazione e sicumera.
Il ritratto che emerge dalle parole dell'autore, ma anche dai documenti riportati tra queste pagine, è quello di una donna psicologicamente fragile, inquieta e irrequieta, ma anche quello di una vittima degli eventi che la vedono protagonista.
Edda Mussolini Ciano, però, era tutt'altro che una vittima: donna forte, tenace, a volte prepotente, riusciva, come raccontato dallo stesso Duce, a non farsi "comandare" neanche dal padre.
Fu un volto importante, anche se non strettamente istituzionale, della politica italiana.
Suo padre, a cui aveva voluto un bene profondo, si è rivelato il suo peggior nemico.
Profondamente legata al genitore, non gli perdonò, se non in punto di morte, la condanna alla fucilazione di Galeazzo Ciano, suo marito, reo di averlo sfiduciato durante il voto dell'Ordine del giorno Grandi, il 25 luglio 1943.
In queste pagine, Mannucci racconta, attraverso i documenti della polizia di confine, le cartelle cliniche e le relazioni stilate dai medici che la assistettero, uno spezzone di vita di Edda.
Abbiamo, quindi, un susseguirsi di documenti, riportati fedelmente, incluso l'utilizzo di un italiano alquanto arcaico, ma anche di lettere che Ciano inviava e riceveva.
A sprazzi appare la voce dell'autore, che, qua e là, si premura di raccontare gli avvenimenti storici.
Questa scelta rallenta notevolmente la lettura che, tutte le volte in cui pare pronta a spiccare il volo, si impantana nell'ennesima lettera o nell'ennesimo rapporto di un ufficiale di frontiera.
Poco emerge, invece, di ciò che fu per le istituzioni svizzere la presenza di un personaggio così scomodo; trapelano, qua e là, le difficoltà ma anche l'incapacità di trovare una soluzione immediata al "problema", ma tutto rimane in superficie a favore di una delle ennesime crisi di Edda.
Sarebbe bastato, per rendere più agevole e piacevole questa lettura, inserire qualche pagina che raccontasse, anche sommariamente, la figura della Edda Ciano pre-fuga, così da consentire al lettore di farsi un'idea di che donna fu colei che, in qualche modo, attraverso le mani del padre, ebbe potere sul destino del nostro Paese.
Ringrazio la Casa Editrice per avermi fornito la copia del romanzo
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