Recensione 'La luce che manca' di Nino Haratischwili - Marsilio
LA LUCE CHE MANCA || Nino Haratischwili || Marsilio || 12 settembre 2023 || 696 pagine
Sta per arrivare il nuovo secolo e in Georgia, come nelle altre repubbliche sovietiche, si levano rabbiose le voci che invocano l’indipendenza. In un periodo di grandi disordini, che per il piccolo stato culmina nel caos assoluto, quattro ragazze crescono in uno dei tanti cortili del quartiere più vivace di Tbilisi. L’universo della loro infanzia è fatto di bucato svolazzante, altalene arrugginite, un albero di melograno. Vivono in case dalle pareti umide con i balconi di legno intagliato, mangiano gelato alla crema e respirano l’aroma del grano saraceno, delle caramelle alle bacche di crespino e della gassosa al dragoncello. Le loro famiglie appartengono a ceti diversi, ma niente sembra scalfire la loro amicizia: né il primo amore tenuto segreto, né gli scontri sanguinosi per le strade o la guerra al confine, né la corruzione e la violenza che divorano il paese, e neppure il razionamento del cibo o la continua mancanza di corrente. Qeto, Dina, Nene e Ira sono sulla soglia della vita, all’inizio di un legame che – ancora non lo sanno – da loro pretenderà tantissimo. Sono e resteranno inseparabili, fino a quando un tradimento non le avvolgerà in un’ombra cupa. Vent’anni dopo, ormai adulte, in tre si ritrovano a Bruxelles in occasione della retrospettiva fotografica di una di loro. Immagine dopo immagine, in quel mondo in bianco e nero le tre sopravvissute ripercorrono un tempo che non c’è più, una storia privata che è anche la storia della rivoluzione seguita al crollo dell’Unione Sovietica. E allora, all’improvviso, un raggio di luce squarcerà il velo steso sui ricordi, e il perdono sembrerà di nuovo possibile.
Vi ricordate il gioco del "se fossi"? Se fossi un animale, che animale saresti?
Ecco, se questo libro fosse un animale sarebbe un ripugnante ratto; se fosse un cibo sarebbe un piatto di cavoletti di Bruxelles... lessi. Se fosse una canzone sarebbe una di quelle tra inascoltabili e se fosse una stagione sarebbe l'estate... in Pianura Padana.
Io questo libro l'ho aspettato tanto (pure dalla Casa Editrice che, invece, lo ha mandato a quella zoccola di Lallina! Che si può dire Lallina qui?).
L'ho voluto fortemente e ogni volta che mi accingevo a iniziarlo, c'era sempre qualcosa a impedirmelo. Pensavo fosse una congiura, invece era un segno divino che io non ho saputo cogliere!
Una mostra fotografica, decine e decine di scatti, opera di Dina, la migliore amica di Qeto, che sarà la nostra guida non solo tra le immagini che tappezzano le pareti, ma anche nel tortuoso dedalo che è questo romanzo.
Dina, Qeto, Ira e Nene: quattro bambine, quattro adolescenti e, oggi, tre donne. Dina non è più tra loro e loro? Loro non sono più nulla; nulla è rimasto di quelle bambine spensierate né delle ragazze cariche di sogni e paure che, mentre crescevano, vedevano il loro Paese sprofondare in un abisso sempre più profondo.
Le prime 50 pagine di questo romanzo sono state stranianti: una sequela di personaggi e salti temporali che creano non poche difficoltà nell'entrare in sintonia con la storia. Una volta compreso il meccanismo creato da Haratischwili la narrazione pare decollare.
L'autrice usa la voce di Qeto e i suoi ricordi, sfrutta le foto scattate da Dina per farci conoscere la storia di queste quattro amiche e di una Georgia che lotta per non soccombere al dominio russo.
Quando la storia pare in procinto di spiccare il volo, ecco che Haratischwili si impantana nuovamente tra descrizioni inutili e 60 pagine di superflua narrazione su una fuga d'amore.
I personaggi sono tanti (forse troppi) e poco identificabili; soprattutto quelli maschili, salvo un paio di eccezioni, sembrano un indefinito mucchio di gente messo lì per fare confusione.
Qeto racconta spesso della vita nel cortile sul quale affacciavano le loro case; la sensazione che si prova più volte durante la lettura è quella di essere affacciati a una delle finestre, di osservare tutti gli avvenimenti da lì, ma di essere comunque troppo distanti per capire bene cosa stia accadendo.
L'autrice spazia tra passato e presente senza alcuno stacco evidente, creando sempre più confusione nel lettore che cerca di barcamenarsi tra la quantità di personaggi, il racconto della guerriglia e una narrazione tutt'altro che fluida.
Si procede lentamente, senza alcuna curiosità né verso i personaggi, talmente piatti da rendere impossibile qualunque tipo di sentimento che non sia fastidio, né verso la storia stessa.
Perché Dina è morta? Perché Ira e Nene non si parlano da anni? Queste sono le due domande sulle quali dovrebbe reggersi l'intero romanzo; eppure risultano, alla resa dei conti, delle fondamenta fragili: non solo le risposte a entrambi i quesiti risultano banali (e facilmente prevedibili già a un terzo del romanzo), ma vengono gettate lì, quasi a caso, tra mille altre vicende storiche che, pur noiose, prendono comunque il sopravvento.
Questo romanzo è grigio, cupo e privo di identità: tra autolesionismo, scene di sesso usate come riempitivo, ménage à trois (Giambruno ha proprio fatto scuola, tocca dirlo!), lotte di quartiere tra bande e un contesto storico non familiare a tutti, La luce che manca si rivela un enorme buco nell'acqua.
Si sbuffa, ci si annoia davanti a descrizioni tanto dettagliate quanto inutili, a dialoghi piatti e ripetitivi, a personaggi pesanti.
Si arriva all'ultima pagina esausti, chiedendosi che fine abbia fatto la Nino Haratischwili de L'ottava vita.
No, davvero, non può essere stata lei a scrivere questo romance georgiano!
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