Recensione 'La notte devastata' di Jean-Baptiste Del Amo: un romanzo feroce e struggente sull'adolescenza e il dolore


LA NOTTE DEVASTATA
Jean-Baptiste Del Amo
Gramma Feltrinelli
28 ottobre 2025
436 pagine


Saint-Auch: una sfilza di case rosa pesca e di floridi prati, giardinetti rocciosi, siepi di alloro o di tuia. Dalle finestre si odono a volte provenire grida, insulti, pianti. Un bambino che urla, un cane che guaisce. Ma nessuno se ne cura, in questa piccola città a venticinque chilometri da Tolosa. Thomas, Mehdi, Alex, Max e Lena sono una banda di ragazzi. Vivono nello stesso quartiere e fanno tutto ciò che è dato fare ad adolescenti degli anni novanta. Comprano robaccia da quelli più grandi e la fumano distesi sui tetti delle pensiline degli autobus o su vecchi divani piazzati nelle antiche serre di Saint-Auch, dove si rifugiano ad ascoltare i Nirvana o a guardare film horror, giusto per sentire i loro cuori battere. A volte si cimentano in stupide sfide: nuotare in una cisterna d’acqua, fare telefonate anonime, tirare petardi in un terreno incolto. Qualcuno è umiliato a scuola, qualcun altro cerca l’amore, tutti mettono alla prova i loro desideri. Quando passano davanti a l’impasse des Ormes, il loro sguardo è catturato da una casa in fondo al vicolo cieco, una casa che sembra acquattata in una penombra vischiosa e fredda, dietro i nodi inestricabili dei rovi e l’ombra proiettata dai muri. C’è chi avverte una sensazione di déjà-vu, come se conoscesse il posto o l’avesse sognato, c’è chi sente un brivido corrergli lungo la schiena. La casa è marchiata con il sigillo del proibito a Saint-Auch, e i ragazzi l’hanno sempre tenuta alla periferia dei loro giochi e delle loro esplorazioni. Quando, però, uno di loro muore in circostanze orribili, in una notte da fiera demoniaca, come un ragno nero in attesa di una preda la casa li inghiotte in un incubo senza fine. Con echi di Stephen King e Lovecraft, e di maestri del cinema come Wes Craven e David Cronenberg, La notte devastata è un impeccabile omaggio al genere horror in cui Jean-Baptiste Del Amo esplora i sogni e le disillusioni di un’epoca e di una generazione alle prese con la brutalità del mondo e le ingiurie del tempo.


Premessa (ovvero: se cercate un libro allegro, cambiate scaffale)

C'è da dire subito una cosa: La notte devastata non è un romanzo da leggere con la copertina di pile, la cioccolata calda e il cane che vi russa accanto (cioè come leggo io praticamente ogni libro).
No, questo libro va affrontato con lo stesso spirito con cui si entra dal dentista sapendo che ci sarà da soffrire, ma che ne usciremo più leggeri - o forse solo più consapevoli di avere dei pezzi di noi che non torneranno mai al loro posto.

Jean-Baptiste Del Amo non scrive, lui scava. E lo fa con una lama affilata come una mattina gelida d'inverno, quando anche il respiro fa male.
Eppure, dopo averlo finito, mi sono ritrovata a guardare il vuoto (che nel mio caso è la tazza vuota del cappuccino) e a pensare: "Minchia, che botta!".
Una botta bella, ma pur sempre una botta.

Trama (più o meno, senza rovinarvi la terapia)

Siamo in Francia, all'inizio degli anni Novanta - quella terra di nessuno in cui gli adolescenti avevano il walkman, le tute acetate e l'esistenzialismo tatuato sotto pelle. Qui incontriamo un gruppo di ragazzi, di amici, anime che si sfiorano e si feriscono, incapaci di gestire il corpo che cambia e la mente che non sa ancora dove posarsi.
Al centro, come una voragine che inghiotte tutto, c'è la morte della madre di uno di loro. Un evento che non è solo dolore, ma detonatore: esplode dentro al figlio e sbriciola ogni certezza.

La storia, che parte da quella perdita, è in realtà il racconto di tutto ciò che resta dopo che un mondo si sgretola.
E quello che resta - Del Amo ce lo mostra senza pietà - non è sempre bello.
Ci sono rabbia, desiderio, vergogna, silenzi che urlano e corpi che cercano un linguaggio per dire "amami" e invece dicono "lasciami in pace".
E noi lettori siamo lì, in bilico, a guardarli crescere come si guarda una ferita che si rimargina male.

Adolescenza: istruzioni per l'uso (o la sopravvivenza)

Del Amo ha una capacità quasi magnetica di riportarci in quel tempo sospeso in cui eravamo tutti un po' brutti, un po' confusi, un po' arrabbiati con il mondo.
I suoi protagonisti sono figli degli anni Novanta, ma potrebbero essere i nostri vicini di casa o i ragazzi che eravamo: troppo grandi per i cartoni, troppo piccoli per la vita.

In quelle pagine c'è tutta la tensione dell'adolescenza: la scoperta del corpo, la sessualità che si affaccia come un intruso, l'amicizia che si  fa ossessione, la violenza che nasce da un dolore che non trova parole.
E soprattutto, c'è quella sensazione di non essere mai nel posto giusto - un disagio che, ammettiamolo, a molti di noi non è passato nemmeno dopo i trent'anni (o i cinquanta, ma chi li conta?).

L'autore non edulcora nulla. Non c'è romanticismo in queste pagine: solo la verità, scomoda e nuda.
Eppure, proprio in quella crudezza, si nasconde la poesia.

Crescere fa paura (e no, non serve un clown assassino)

A un certo punto, leggendo La notte devastata, mi è venuto naturale pensare a It di Stephen King.
Niente clown psicopatici che escono dai tombini, per carità - qui il male non ha un volto truccato, ma respira sotto pelle, invisibile e costante.
Eppure, la dinamica è la stessa: un gruppo di ragazzi che affronta l'orrore più grande, quello che non ha nome, e che segna la loro crescita in modo indelebile.

Come in It, anche qui l'adolescenza è una terra di confine dove si impara che il mondo non è un posto sicuro e che gli adulti non sempre sanno - o vogliono - proteggerti.
Del Amo, come King, racconta la paura non come evento esterno ma come parte integrante del diventare adulti.
È la paura di cambiare, di essere visti, di essere amati, di restare soli.

Entrambi gli autori ci ricordano che il vero mostro non è quello che spaventa, ma quello che rimane dentro di noi dopo averlo incontrato.
E se King usa la metafora dell'orrore per parlare della perdita dell'innocenza, Del Amo sceglie la crudezza del reale per dirci che crescere è, in fondo, un atto di sopravvivenza.

La madre, il vuoto e tutto ciò che non si dice

La morte della madre è l'asse intorno a cui ruota tutto.
Del Amo non ne fa un semplice evento narrativo, ma una voragine esistenziale.
Il figlio, privato di quel legame, diventa un pianeta fuori orbita: gira a vuoto, si scontra, si spegne a tratti.

C'è una scena (non la descriverò per non rovinarvela) in cui il dolore si fa così fisico che sembra di sentirlo nelle ossa.
Ed è lì che Del Amo compie il suo miracolo narrativo: ci costringe a guardare il lutto non come un'assenza ma come una presenza costante, ingombrante, quasi viva.
La madre morta diventa il fantasma che guida ogni gesto del figlio, il filtro attraverso cui passa ogni esperienza.

E noi lettori finiamo per sentirla, quella madre: non per quello che fa, ma per quello che manca.

Del Amo, ovvero: la bellezza che fa male.

C'è da dirlo: la scrittura di Jean-Baptiste Del Amo non è per tutti.
È densa, lirica, viscerale. Ti trascina in un vortice di immagini che a volte ti abbagliano, a volte ti soffocano.
Ogni frase è costruita con una precisione chirurgica e una sensualità quasi animale. Ci si muove tra il concreto e l'onirico, tra la pelle e l'anima, e spesso non si capisce più dove finisca una e inizi l'altra.

A tratti, la prosa è talmente potente da far male.
E in quei momenti ti ritrovi a voler chiude il libro, prendere fiato, e poi riaprirlo subito, come quando guardi un film straziante sapendo che ne uscirai a pezzi ma non puoi smettere. 

Del Amo è uno di quegli autori che non cercando di piacere: ti sfidano.
E tu, se accetti la sfida, scopri che ne vale la pena.

I personaggi: fragili, feroci, veri

I protagonisti de La notte devastata non sono fatti per farsi amare. Sono umani, troppo umani: incoerenti, impulsivi, a volte crudeli. Ma in questa imperfezione si nasconde la loro forza.

Del Amo non li giudica, li osserva.
Li lascia muovere nel loro dolore, nel desiderio, nella paura.
E noi li seguiamo, consapevoli che non ci sarà redenzione, ma solo consapevolezza. Una consapevolezza che arriva tardi, ma arriva - e ti colpisce come una verità che non volevi sentire.

È impossibile non riconoscersi, almeno un po', in quei ragazzi persi che cercano senso al caos.
Anche se, per fortuna, noi abbiamo avuto solo brufoli e genitori un po' rompiscatole e non un'esistenza devastata come la loro.

Conclusione (e riflessione davanti a un cappuccino tiepido)

Quando ho chiuso La notte devastata, ho avuto bisogno di restare in silenzio. Un silenzio che sa di rispetto, di stordimento, di quella malinconia dolceamara che ti lascia un grande libro.

Non è una lettura facile né piacevole. Ma è una lettura necessaria.
È un romanzo che scava, che tocca nervi scoperti, che mette in discussione il concetto stesso di crescita, di perdita, di amore.
E quando un libro riesce a fare questo - senza retorica, senza lacrime gratuite ma solo con la verità delle parole - allora sì, merita di essere ricordato.

Il voto: 4,5 su 5 (perché la perfezione non è per tutti)

Perché non 5? Perché La notte devastata è un romanzo che a tratti chiede troppo al lettore
Ci sono passaggi in cui la prosa, pur bellissima, rischia di inghiottire l'emozione.
E io, che amo i libri che colpiscono dritti al cuore senza troppi giri di parole, ho sentito il bisogno di qualche respiro in più.

Mezzo punto in meno del voto pieno, ma poche volte ho letto un romanzo così coraggioso, così onesto, così profondamente umano.
E perché, anche se mi ha devastata (il titolo non mente), mi ha ricordato quanto la letteratura possa essere, nel dolore, una forma di grazia.




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