GLI ERRORI DELLE LETTRICI - Quando leggere diventa un dovere: come riscoprire il piacere della lettura senza sensi di colpa
“Ci sono libri che finiscono.
E poi ci sono libri che ci finiscono.”
Lo confesso: ogni tanto mi capita di guardare la mia libreria e sentirmi… giudicata.
Tutti quei dorsi allineati, come soldatini pronti a ricordarmi che non leggo abbastanza, non leggo in fretta, non leggo quello che dovrei.
E così, la lettura - quella che un tempo era il mio rifugio - diventa una lista di obiettivi da spuntare. Un progetto da monitorare. Una corsa a chi soffre di più.
Perché ormai, ammettiamolo: non leggiamo più solo per piacere. Leggiamo per sentirci brave lettrici.
Il mito tossico del “devo finirlo perché l’ho iniziato”
C’è un mantra che circola da generazioni di lettrici martiri:“L’ho iniziato, quindi lo devo finire.”
Ecco, no! Questo non è un giuramento di sangue, è solo una pessima abitudine travestita da virtù. Nessuno ci obbliga a portare a termine un libro che ci annoia, ci irrita o ci svuota. Non è un matrimonio: non hai firmato niente.
Io, per esempio, ci sono cascata più volte. Con libri osannati da tutti, quelli che “ti cambiano la vita”. E invece, dopo trecento pagine di nulla cosmico, mi hanno cambiato solo l’umore. Il senso di colpa cresceva, la voglia di leggere spariva.
Finché un giorno ho avuto l’illuminazione: non succede niente se chiudi un libro. Davvero, niente. Il mondo continua a girare, il cane continua a dormire, e tu torni a respirare.
“Lasciare un libro a metà non è fallire.
È ricordarsi che la lettura non è una punizione.”
Il lettore performativo (ovvero: Goodreads non è un giudice)
Viviamo nell’epoca delle challenge letterarie: 50 libri l’anno. 12 classici. Un romanzo per ogni continente.
E intanto noi, invece di perderci nelle storie, contiamo le pagine come fossero passi su Strava.
Non fraintendiamoci: le sfide possono essere divertenti, ma quando diventano ansia da prestazione, tolgono tutto il gusto.
Perché leggere non è una gara e, soprattutto, nessuno si ricorderà se hai finito Guerra e pace o se l’hai mollato a pagina 172. Nemmeno Tolstoj, te lo garantisco!
Il problema è che ci siamo convinte che la lettura serva a dimostrare qualcosa: intelligenza, costanza, profondità. Ma la verità è che nessuno ti ama di più perché leggi Dostoevskij. Anzi, probabilmente ti ama di meno se ne parli troppo.
“La lettura non è una maratona, è un invito a perdersi.E chi si perde, vince sempre.”
Il piacere che scompare (e come riprenderselo)
Forse dovremmo iniziare a chiederci perché leggiamo. Non per chi, non per quanti libri, non per quali trend. Ma proprio: perché.
La lettura, quella vera, è un gesto intimo: è scegliere di restare con un libro anche quando il mondo fuori grida. È concedersi un tempo sospeso, senza misure di produttività. Non serve a essere migliori, serve a stare meglio.
Quindi smettiamola di trattare i libri come sfide e lasciamo che ci piacciano, che ci annoino, che ci feriscano. Che ci lascino a metà, se serve.
Non esiste un modo giusto di leggere: esiste solo il tuo.
“I libri non si finiscono: si vivono, si abbandonano, si ritrovano.E a volte, semplicemente, si lasciano andare.”
Il consiglio della Libridinosa
Se un libro ti pesa, non portarlo avanti per principio: i libri non vanno finiti: vanno amati. E se non ti ama, lasciarlo è un atto di autostima.
E tu?
Hai mai continuato un libro solo per “senso del dovere”? Quanti romanzi hai terminato odiandoli in silenzio?
Raccontamelo nei commenti — magari scopriamo che la lettrice perfetta non esiste (e meno male).



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