Recensione 'Non superare le dosi consigliate' di Costanza Rizzacasa D'Orsogna - Guanda


NON SUPERARE LE DOSI CONSIGLIATE || Costanza Rizzacasa D'Orsogna || Guanda || 30 gennaio 2020 || 250 pagine

«Non c’è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto che non dimagrisco…» C’è un peso che non si può perdere, anche quando l’hai perso tutto. Matilde lo sa: la mamma, bulimica, passa le giornate a vomitare; lei ha cominciato a ingrassare quando aveva sei anni ed è affamata da una vita. A scuola elemosina biscotti, a casa ruba il pane, e intanto sogna che le taglino la mano. Ottanta chili a sedici anni, a diciotto quarantotto; Matilde va in America a studiare, splende, ma la fame e la paura le vengono dietro. Finché, dopo la morte della madre, il tracollo finanziario del padre e una relazione violenta, supera i centotrenta chili. E quando esce, c’è sempre qualcuno che la guarda con disprezzo. Allora Matilde si chiude in casa per tre anni, e sui social si finge normale. Ma che vuol dire normale? Un romanzo crudo e potente tra due lingue e due culture, tra gli anni Settanta e oggi. Un libro vorticoso tra perfezionismo, autolesionismo, menzogna e dipendenze.



Una scrittrice che conosco ha sempre detto che per scrivere un buon romanzo non bisognerebbe mai raccontare se stessi, perché si rischia di cadere nell'autoreferenziale.
Il fatto che proprio questa scrittrice lo abbia poi fatto, lascia il tempo che trova; così come poco importa che io, da lettrice, abbia sempre pensato che ogni scrittore metta un pezzetto di sé, anche inconsciamente, in ogni suo romanzo.
Lettore, non ci sono fini edificanti in questo libro. Se vuoi smettere di leggere, fallo adesso. Io rivendico una narrazione per me stessa.
Se l'autrice di questo romanzo avesse comunicato chiaramente col lettore sin dall'inizio, probabilmente l'approccio a queste pagine sarebbe stato diverso.
Non superare le dosi consigliate, infatti, appare sin dalle prime righe come una sorta di auto-terapia (riuscita? Non saprei) che l'autrice fa attraverso le parole; una costante, sfiancante, eccessiva bulimia di parole, che spesso paiono non avere necessità di esistere.

Parlarvi di un romanzo di questo tipo, in cui ci sono in ballo la vita e i sentimenti di una persona, esprimere un "giudizio" su ciò che queste pagine dovrebbero raccontare, è molto difficile per me, perché ci sono dentro emozioni e sentimenti , quelli della sua autrice, che non mi appartengono.
Ma scrivere un libro vuol dire anche sottoporsi all'occhio critico del lettore e accettare che non a tutti si possa piacere.

La storia di Matilde è quella di una bambina grassottella che viene cresciuta da una madre anoressica; una madre che le somministra lassativi come fossero caramelle.
Matilde cresce in una famiglia affettivamente disfunzionale e sarà proprio questa sua caratteristica a farla da padrona nella sua vita.

Io di questo storia, mi duole ammetterlo, credo di aver capito molto poco.
Ho capito che Matilde ha trascorso tutta la sua vita oscillando tra anoressia e bulimia, proprio come l'ago della bilancia oscillava sotto il suo peso.
Ho capito che Matilde cercava nel cibo quella madre che non ha mai avuto davvero.
Ho capito che Matilde, ancora oggi, ormai adulta, è una donna irrisolta.
Potrebbe sembrare molto, ma è poco se rapportato a un romanzo di 250 pagine.

Non superare le dosi consigliate è un libro irto di ostacoli: la storia di Matilde viene narrata in maniera ripetitiva, portando il lettore ad avere la sensazione di essere appollaiato su una sedia scomoda, ma di non avere la possibilità di alzarsi e andare via.
Più volte mi è parso di aver perso il segno, di essere tornata indietro con le pagine, di trovarmi a leggere sempre le stesse parole, le stesse frasi, gli stessi avvenimenti.
Non c'è una narrazione temporale logica, ci sono una serie di continui balzelli avanti e indietro, aneddoti, personaggi che appaiono per sparire poche righe dopo e poi tornare e sparire e tornare ancora.
Per 250 pagine l'autrice salta di palo in frasca, lasciando il lettore esausto.

Di Matilde ci rimangono la fame, la sete di affetto, la voracità di amore. Nulla di più.
Matilde è una persona, non un personaggio; Matilde non conquista, non ci lega a sé, non riesce a farci empatizzare col suo dolore.
Non trasmette, non lascia nulla a chi la incontra. 
Matilde si dimentica appena si termina la lettura di questo romanzo e la sensazione è quella di essere finalmente liberi.

Non superare le dosi consigliate avrebbe potuto raccontarci una bella storia, avrebbe potuto farci riflettere, ricordarci, ancora una volta, che noi donne siamo ostaggio dell'aspetto fisico, che la bellezza passa da un corpo esile e filiforme.
Tutto questo avrebbe potuto essere scritto tra queste pagine, invece Matilde ha deciso di soverchiare tutto, di ingoiare anche questa storia.


Ringrazio l'autrice per avermi fornito una copia del romanzo


La Libridinosa

Cosa fai nella vita? Leggo!

2 commenti:

  1. Sai che questa cosa che un autore non dovrebbe mai raccontare se stesso la disse anche maurizio de Giovanni? E credo sia una riflessione giusta; a mettere se stessi nei personaggi, a meno che non sia stia scrivendo la propria autobiografia, si rischia molto.

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  2. pensavo di essere l'unica a cui non fosse piaciuto questo libro, perché leggendo le varie recensioni di tante bloggers su Instagram mi sentivo quasi una deficiente... hai espresso perfettamente il mio pensiero, ci sono state certe volte che avrei voluto lanciare il libro nella stanza... per quanto lo trovavo delirante. Pur comprendendo il disagio di Matilde, non provo nessuna empatia nei sui confronti, anzi, magari un certo fastidio. grazie

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